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CRIPTOVALUTE: NATURA E TRATTAMENTO FISCALE

Tra i 38.000 e i 50.000 euro… questa l’oscillazione nei primi 10 giorni del mese di dicembre del valore di un Bitcoin: un range che consente facilmente di comprendere l’interesse, l’importanza e la cautela con cui gli investitori si approcciano al mondo delle criptovalute. Secondo l’indice composito elaborato dalla società ChainAnalysis, un’azienda che si occupa di analizzare i dati delle blockchain, tra la fine del 2019 e la metà del 2021 l’utilizzo di valute digitali è aumentato di 25 volte (+2500%), con un’esplosione decisa a partire dall’inizio di quest’anno.

Una crescita che ha interessato anche il nostro Paese e che viene monitorata dall’Amministrazione Fiscale, che si è interrogata sulla natura dei redditi che ne derivano, anche se non sempre è stata in grado di fornire risposte coerenti e adeguate.

 

Le criptovalute: cosa sono, come funzionano, cosa si rischia

Il termine criptovaluta sta a significare valuta nascosta in quanto visibile, e quindi utilizzabile, solo se si è in possesso delle chiavi di accesso pubblica e privata. Le valute virtuali, infatti, non hanno natura fisica bensì digitale, sono create e utilizzate attraverso dispositivi elettronici e conservate in portafogli elettronici chiamati wallet. Sono liberamente accessibili e trasferibili dal titolare, in possesso delle necessarie credenziali, in qualsiasi momento senza bisogno dell’intervento di terzi. Il wallet si configura come una coppia di chiavi crittografiche di cui la chiave pubblica, comunicata agli altri utenti, rappresenta l’indirizzo a cui associare la titolarità delle valute virtuali ricevute, mentre quella privata, mantenuta segreta per garantire la sicurezza delle valute associate, consente il trasferimento ad altri portafogli.

L’emissione e il funzionamento delle criptovalute è regolato pertanto da codici crittografici e da complessi calcoli algoritmici.

In particolare, i Bitcoin sono generati da algoritmi matematici tramite un processo di mining, che consiste nella creazione di monete virtuali tramite un duro lavoro informatico che sfrutta la capacità di calcolo dei computer, mentre lo scambio dei predetti codici criptati tra gli utenti (user), operatori sia economici che privati, avviene per mezzo di software specifici come BitMinter. Quindi, si può entrare in possesso di Bitcoin:

  • a seguito di estrazione;
  • acquistandoli da altri soggetti in cambio di valuta legale;
  • accettandoli come corrispettivo per la vendita di beni o servizi.

Si rendono necessarie due precisazioni a questa premessa tecnica: le criptovalute sono prive di corso legale nella quasi totalità dei mercati finanziari mondiali, con la conseguenza e la necessità che il loro scambio avvenga su base volontaria; la mancata regolamentazione da parte di enti centrali governativi ha come conseguenza che siano controllate secondo le regole proprie del soggetto stesso che le emette.

Il corretto funzionamento di un sistema di criptovalute deve presentare alcune caratteristiche imprescindibili:

  • la presenza di un protocollo, cioè di un codice informatico che detta le regole a cui i partecipanti devono attenersi per procedere con lo scambio;
  • un distributed ledger o blockchain, una sorta di libro mastro che può memorizzare le transazioni tra le parti in modo sicuro, verificabile e permanente;
  • una rete decentralizzata di partecipanti il cui compito è quello di aggiornare, conservare e consultare il libro mastro secondo le regole definite dal protocollo.

La richiesta di caratteristiche basiche elementari postula che chiunque dotato delle giuste conoscenze informatiche può creare o distribuire una valuta digitale, magari ricorrendo a una initial coin offering, una raccolta fondi per finanziare un progetto imprenditoriale che ha caratteristiche simili all’equity crowdfunding, ma richiede l’emissione di un coin o token digitale che di fatto sostituisce gli strumenti finanziari tradizionali.

Una volta emesse, le criptovalute sono negoziate su piattaforme di scambio, le exchange platform, contro moneta avente corso legale, seppur con il limite di non essere regolamentate e con la conseguenza di definire percorsi non delineati in caso di contenzioso.

La mancata regolamentazione, che potrebbe rappresentare il punto di forza delle valute digitali consentendone una maggiore velocità ed efficienza nei pagamenti e nelle rimesse internazionali, finisce per rappresentarne il limite più evidente anche perché queste piattaforme non hanno obbligo alcuno in tema di garanzia di qualità del servizio, di possesso di requisiti patrimoniali definiti o di procedure standardizzate di controllo interno e di gestione del rischio, con la conseguenza di esporsi notevolmente alle influenze del cosiddetto cybercrime.

 

Il profilo fiscale

L’Agenzia delle Entrate affronta per la prima volta il tema delle monete virtuali con la risoluzione n. 72/E del 2 settembre 2016: rispondendo a un interpello di una società che intendeva svolgere per conto della propria clientela operazioni di compravendita di Bitcoin e che era interessata a conoscere il corretto trattamento applicabile a tali operazioni ai fini Iva e delle imposte dirette, l’Agenzia richiama una sentenza della Corte di Giustizia Europea confermando l’esenzione ai fini dell’imposta indiretta dell’operazione stessa. Difatti le valute digitali vengono fatte rientrare nella categoria di esenzione relativa alle «divise, banconote e monete con valore liberatorio» perché, pur mancando il requisito del «valore liberatorio», che identifica le sole valute aventi corso legale che possono essere utilizzate come contropartita di un’obbligazione pecuniaria senza possibilità per la controparte di rifiutarne il pagamento, «è pacifico che la valuta virtuale Bitcoin non abbia altre finalità oltre a quella di mezzo di pagamento e che essa sia accettata a tal fine da alcuni operatori».

Al contrario, ai fini delle imposte dirette il ricavo conseguente, rientrando a pieno titolo tra quelli caratteristici di esercizio dell’attività di intermediazione, contribuisce alla «formazione della materia imponibile soggetta ad ordinaria tassazione ai fini Ires e Irap». A fine esercizio, le rimanenze di Bitcoin si valuteranno secondo il cambio in vigore alla data di chiusura del periodo che assumerà rilievo ai fini fiscali come valore normale.

Per le persone fisiche, clienti della società, che detengono la valuta digitale al di fuori dell’attività d’impresa, la risoluzione richiama le operazioni a pronti di valuta che non generano redditi imponibili essendo prive di finalità speculativa e di conseguenza, ed era uno dei quesiti posti in sede di interpello, non si ravvisa in capo alla stessa società alcun adempimento come sostituto d’imposta.

Successivamente, con risposta all’istanza di interpello n. 956-39/2018 del 19 aprile 2018 alla sua Direzione Regionale della Lombardia, l’Agenzia delle entrate ha continuato a perseguire la strada dell’assimilazione alle valute estere. Come diretta conseguenza le cessioni a pronti di valuta virtuale possono dar luogo a plusvalenze, imponibili come redditi diversi, se, la valuta ceduta, derivi da prelievi di un wallet la cui giacenza media superi un controvalore di € 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta.

Ai fini della determinazione di un’eventuale plusvalenza derivante dal prelievo dal wallet, che abbia superato la predetta giacenza media, si deve utilizzare il costo di acquisto considerando cedute per prime le valute acquisite in data più recente (metodo LIFO).

Tali plusvalenze, se realizzate da un soggetto persona fisica al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, devono essere indicate nel quadro RT del Modello Redditi – Persone Fisiche e sono soggette a imposta sostitutiva del 26%.

Sempre nella succitata risposta, per la prima volta l’Agenzia affronta il tema dell’indicazione della detenzione di valuta digitale nel quadro RW «poiché alle valute virtuali si rendono applicabili i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali nonché le disposizioni in materia di antiriciclaggio, si ritiene che anche le valute virtuali devono essere oggetto di comunicazione attraverso il citato quadro RW, indicando alla colonna 3 (“codice individuazione bene”) il codice 14 – “Altre attività estere di natura finanziaria”. Il controvalore in euro della valuta virtuale detenuta al 31 dicembre del periodo di riferimento deve essere determinato al cambio indicato a tale data sul sito dove il contribuente ha acquistato la valuta virtuale». Tra i chiarimenti forniti dall’Agenzia si evidenzia, infine, che le valute virtuali non sono assoggettate all’IVAFE.

È necessario sottolineare che il TAR Lazio, con la sentenza 27 gennaio 2020, n. 1077, si è pronunciato a favore della linea interpretativa dell’Agenzia ribadendo che i soggetti titolari di valute virtuali sono obbligati a indicare le stesse nel quadro RW del Modello Redditi per il combinato disposto degli articoli 1 e 4 del DL 167/1990 che ha assoggettato al monitoraggio fiscale anche le movimentazioni da o verso l’estero di valuta virtuale.

Per ultimo, con la risposta n. 788/2021 del 24 novembre 2021, l’Agenzia delle entrate ritiene che tutte le valute virtuali detenute debbano essere indicate nel quadro RW, anche quelle di cui si detenga direttamente la chiave privata.

 

FONTI:
  • Consob, Le criptovalute: che cosa sono e quali rischi si corrono, consob.it
  • M. Cirrito, P. Falchi, Criptovalute e fisco, punti fermi e questioni aperte, La Settimana Fiscale – Il Sole 24 Ore, n. 19, 12 maggio 2021
  • Falchi, Le criptovalute al varco del monitoraggio fiscale, La Settimana Fiscale – Il Sole 24 Ore, n. 46, 8 dicembre 2021
  • Agenzia delle entrate, Risoluzione n. 72/E, 2 settembre 2016